Già all’inizio della letteratura occidentale si trova la rappresentazione di una peste che avrà conseguenze importanti: Omero, nell’Iliade, descrive una pestilenza che colpisce il campo greco dopo che il re Agamenonne ha insultato il sacerdote di Apollo Crise. Il tema della peste, del male oscuro che fa le sue vittime in maniera spietata e apparentemente irrazionale, continuerà ad interessare gli scrittori dall’antichità fino ai giorni nostri. Essi spesso approfittano di questo momento di grande crisi per fare le loro osservazioni più profonde. I tre autori discussi in questo saggio si servono tutti di una peste storica per rivelare il loro vero atteggiamento rispetto ai fatti del loro tempo. In ogni caso la Storia viene trasposta in una dimensione politica reale e serve all’autore per esprimersi – nascondendosi in ogni caso dietro la finzione di un osservatore imparziale di un fenomeno storico – sui problemi politici e morali del suo tempo.

La scelta dei tre autori, Tucidide, Alessandro Manzoni e Albert Camus non è casuale. Essi vengono da epoche varie e paesi diversi, ma raccontano un’esperienza umana comune: la peste. Tutti e tre descrivono una peste storica in una diversa parte del mondo. La descrizione di Tucidide è abbastanza breve, quella di Manzoni già più lunga e Camus dedica tutto il suo romanzo al soggetto. Tutti ostentano di essere osservatori oggettivi ed imparziali. Ma per ognuno di loro l’episodio diventa di più: dietro la descrizione degli avvenimenti si nasconde una volontà precisa dell’autore. La peste contiene in ogni caso la sua chiave morale, il suo obiettivo e la sua ragione per scrivere l’opera. Il “perché” del libro in ogni caso si rivela durante la descrizione della peste.