Nella prima età moderna, mentre le concezioni di ‘autore’ e di ‘testo’ vengono rivoluzionate da cambiamenti antropologico-culturali e mediatici, l’antichità greca e latina svolge, come sappiamo, un ruolo centrale nell’orientare le trasformazioni della letteratura. Eppure sappiamo anche – non in ultimo grazie agli studi che hanno fatto emergere l’anima ‘plurale’ del Rinascimento, rivendicando l’importanza di esperienze letterarie meno canoniche e interrogandosi sui modelli di tali esperienze – che lo spettro delle ricadute della cultura classica sulla letteratura dei secoli XIV-XVII è talmente variegato e complesso da presentare ancora numerose zone d’ombra, poco o per nulla indagate. Inoltre, il dibattito sull’autorialità – che ha riconcettualizzato la figura autoriale come espressione performativa di un discorso letterario e culturale-sociale – ha reso urgente una nuova analisi della funzione rivestita nel Rinascimento dagli autori antichi.
I saggi raccolti nel volume intendono contribuire a restituire un’immagine più sfaccettata della presenza della cultura classica nella letteratura della prima età moderna (con particolare attenzione al Cinquecento e al primo Seicento italiani), mirando al contempo a promuovere una sinergia tra gli studi sulle dinamiche rinascimentali di autorialità e di (inter)testualità. Esaminando casi che vanno da Pindaro a Plauto a Luciano fino a Dante, Ariosto, Aretino, Tasso e Marino, le ricerche qui raccolte si concentrano dunque sia sulle modalità ‘altre’ di ricezione dell’antico (come i processi di imitatio di natura autoriale oltre che testuale), sia sulla presenza di ‘altri’ autori antichi nelle poetiche e nelle opere letterarie dei secoli XIV-XVII, soprattutto in quelle meno frequentemente associate alla classicità.